Incapaci di aiutare gli abitanti di questa popolatissima striscia di terra, gli ospedali sono tra le prime vittime dell’embargo imposto su Gaza e dalla lite tra Hamas e Fatah. Quest’ultima, che governa in Cisgiordania, gioca la sua battaglia politica dilazionando l’invio di medicinali ai fratelli palestinesi della Striscia.   “La sanità pubblica di Gaza è in crisi in primis perché non esiste” sintetizza Paola Manduca, genetista del New Weapons Research group, (Nwrg), una commissione indipendente di scienziati che studia l’impatto delle armi non convenzionali e i loro effetti.
“Non c’è un vero e proprio fondo statale destinato a questa voce. Gli ospedali sopravvivono grazie a donazioni. Ogni volta che serve qualcosa si deve chiedere ad altri di regalarla.” È per questo che mese dopo mese, sul web circolano le liste aggiornate dei medicinali e delle attrezzature necessarie. In ogni ospedale che si rispetti, se manca un pezzo di un macchinario si cerca il ricambio. “Qui è più facile farne arrivare uno nuovo. Certo l’attesa è lunga e in mezzo c’è inutile tempo morto che moltiplica gli sprechi” aggiunge la dottoressa che da anni lavora negli ospedali della Striscia.
Se questa è una debolezza strutturale del sistema sanitario locale, a renderlo ancora più vulnerabile è l’embargo imposto da Israele a Gaza dal giorno in cui, nel 2006, Hamas ha vinto le elezioni. “Ogni cosa che ci arriva deve passare il vaglio dello stesso governo che ci bombarda” dice Ahmed, un infermiere dell’ospedale di Wafa che non torna a casa da giorni.
Negli ultimi mesi, a complicare la situazione è stata la crisi economica causata dalla chiusura dei tunnel che arrivano nel Sinai. È questa città scavata sotto terra che teneva in vita l’economia della Striscia. “Non solo perché il contrabbando dava lavoro a buona parte della popolazione, ma anche perché dall’Egitto arrivava tutto. Anche le medicine che ora si elemosinano e la benzina necessaria per fare funzionare i macchinari ospedalieri” aggiunge Manduca.
Da quando i Fratelli Musulmani sono usciti di scena in Egitto, Hamas si è trovata senza l’aiuto dei cugini. E i generali tornati al potere al Cairo non ci hanno pensato due volte a tagliare le gambe a quella economia sommersa che riusciva a garantire qualcosa agli islamisti al di là del loro confine. I risultati si sono toccati con mano. Negli ultimi due mesi del 2013, la centrale elettrica di Gaza è stata chiusa 46 giorni.   “In ospedale abbiamo rimandato tutti gli interventi che potevamo posticipare” racconta Ahmed, un oncologo che appena riceve i suoi pazienti gli dice che l’unico modo di salvarsi è chiedere assistenza umanitaria all’estero per farsi curare in veri ospedali. “Alla fine di giugno, la centrale stava per richiudere. Per fortuna è arrivata della benzina dal Qatar. Tutti però la centellinano perché sanno che durerà poco” aggiunge Ahmed mostrandoci la cartella clinica di Faisal, un bambino che ha avuto un attacco cardiaco dopo aver toccato un generatore costruito alla buona dal papà per risparmiare elettricità.   “In momenti di relativa calma, a decidere il numero delle operazioni da fare in un giorno è solo la quantità di elettricità disponibile. Ci sono bambini che hanno problemi all’esofago e se li portano avanti per anni. Certo non moriranno per questo, ma non fanno una vita di qualità” dice Mohammed, un dottore che da marzo non vede lo stipendio. “Negli otto mesi precedenti la nostra busta paga è stata dimezzata.”
Eppure se c’è una cosa che colpisce chi entra nell’ospedale di Shifa, il più grande e infernale della Striscia, è proprio la forza d’animo di infermieri e medici, abituati ad arrangiarsi come possono. “Non riusciamo a togliere tutte le schegge metalliche dei pazienti che arrivano. In queste condizioni, tra un paio di giorni, questo ospedale collasserà e non riuscirà più ad aiutare nessuno” dice Ashraf al-Kurdi, il responsabile dei servizi medici nella Striscia.   I reparti che soffrono di più sono quelli dove si trovano i malati cronici, diabetici e cardiopatici. Lo stato della loro salute dipende dalla generosità internazionale e dai giochetti dei diversi governi che devono permettere alla loro terapia quotidiana di superare il confine. Il conflitto stesso crea i suoi malati. “I bambini a Gaza sono anemici più della norma. La popolazione infantile è molto più a rischio rispetto a quella degli altri Paesi” aggiunge Manduca, spiegando come lo stesso contatto con la terra di Gaza sia pericoloso. –
L’articolo termina su Pagina 99, dove è stato pubblicato.