Dopo la pausa estiva, torniamo a parlare di Egitto. Dal Cairo scarseggiano ad arrivare le buone notizie.
In questi giorni, il consiglio di stato ha ufficialmente bandito quel che restava di Al-Jazeera e della tv Rabaa che ora non sono più visibili su NileSat. A questo punto, chi ama fare zapping potrà scegliere tra la propaganda politica dei programmi in onda o le lunghissime reclame commerciali trasmette tra una trasmissione e l’altra.
Nella morsa della censura sono finiti anche alcuni libri. Tra questi L’Introduzione alla semiotica del defunto Nasr Hamed Abu Zaid, un intellettuale che già in vita aveva combattuto contro la morsa del regime di turno. Qui trovate un’intervista che feci alla moglie nel 2011.
La notizia che più mi rattrista è però l’evoluzione della tormentata vicenda di @Alaa e della sua famiglia. Alaa Abdel Fattah continua a rimanere in carcere, dove ha iniziato lo sciopero della fame. In questa lettera spiega bene il perchè di questa sua decisione, accantonata più volte, il significato di questo gesto estremo che è pronto a portare a termine fino a quando non riotterrà la sua libertà.
I have decided — when I saw my father fighting against death locked in a body that was no longer subject to his will — I decided to start an open hunger strike until I achieve my freedom. The well-being of my body is of no value while it remains subject to an unjust power in an open-ended imprisonment not controlled by the law or any concept of justice. 
I’ve had the thought before, but I put it aside. I did not want to place yet another burden on my family — we all know that the Ministry of the Interior does not make life easy for hunger strikers. But now I’ve realized that my family’s hardship increases with every day that I’m in jail. My youngest sister, Sanaa, and the protesters of Ettehadiya were arrested only because they demanded freedom for people already detained. They put my sister in prison because she demanded my freedom! And so our family’s efforts were fragmented between two prisoners, and my father’s heart worn out between two courts — my father, who had postponed a necessary surgery more than once because of this ill-fated Shura Council case.
Qui trovate il testo integrale del messaggio di Alaa. Non è la prima lettera dal carcere che Alaa scrive. Qui ne trovate altre.
Alaa, menziona il papà, Ahmed Seif al-Islam, un avvocato che ha trasmesso il suo Dna lottatore ai figli. Un uomo che Alaa, da piccolo, andava a salutare in carcere, proprio come fa ora suo figlio Khaled Alaa, partorito dalla moglie di Alaa, durante un precedente periodo di detenzione del marito.  Seif al-Islam è ora scomparso. L’ultima volta che Alaa l’ha visto, in ospedale, era scortato da poliziotti che temevano una sua evasione. La loro storia insieme finisce con lo stesso sfondo carcerario nel quale era iniziata.
Chi di voi non ricordasse la storia di questa famiglia, può recuperare ascoltando questa puntata di Radio 3 Mondo.
Dopo anni, la campagna #FreeAlaa non si ferma.