A una settimana dal quinto anniversario dello scoppio della Rivoluzione di Piazza Tahrir, mentre al Cairo l’organizzazione di questa ricorrenza sta creando una certa tensione, il nostro ricordo non può non andare ad alcuni protagonisti di quei giorni che, come nella migliore tradizione gattopardesca della storia, stanno ora subendo le stesse angherie che subivano quando li conoscemmo nel 2010.
E parlo soprattutto di giornalisti e scrittori, persone la cui professione, se esercita sinceramente, per forza di cose infastidisce i regimi che si basano sul controllo dello spazio pubblico.
Sono tanti i colleghi che ci scrivono per raccontarci i processi che stanno seguendo o i limiti con i quali devono confrontarsi per scrivere articoli o fare interviste.
Ma oggi vogliamo ricordare le vicende di tre persone, di cui avete già sentito parlare in questo blog.
La prima è il caro amico Ahmed Naji, autore per il pubblico italiano di Roger, un libro che ci aiutò a capire perché Tahrir esplose. Ahmed, allievo prediletto di Amal Ghitani ha ora non pochi problemi giudiziari per il suo nuovo libro, The Use of Life, un testo accusato di trattare temi scabrosi contrari alla morale pubblica.
Ahmed continua a dire che le confessioni del protagonista del suo libro non sono le sue personali, ma la distinzione tra la storia di un romanzo e quella di chi la scrive è stata sempre complessa da capire da parte del regime egiziano.
Ala-Al Aswani lo racconta spesso. Per pubblicare il suo primo libro dovette scrivere una lettera nella quale diceva che le parole dei personaggi del suo romanzo non erano per forza le sue. Neanche questo bastò ad autorizzare la pubblicazione dell’opera, ma basta a capire quanto fosse dura la censura del regime mubarakiano. Una censura che fece di Aswany una vittima, ma che non gli impedì di diventare famoso altrove.
E Aswany è la seconda vittima del ritorno della censura accelerata dal “nuovo” regime. Nell’estate 2010 iniziammo a frequentare le sue serate di lettura in un sotterraneo del centro del Cairo. Serate fiume. Si iniziava con la lettura di un testo letterario e poi si parlava per ore di tutto e di più. Anche di politica, visto che, in un sotterraneo, questo era possibile.
Aswany, che nel frattempo ha sostenuto l’intervento militare del 2013, si trova ora in una situazione simile a quella del 2010. Non può più scrivere il suo solito editoriale su Al-Masry al-Yaoum, dove è stato censurato e, notizia più recente, i suoi appuntamenti letterari sono stati cacellati dalle forze di sicurezza. Chissà come si sentirà ora lo scrittore, pensando a quanto aveva scritto- in un primo momento – a sostegno dei generali di Al-Sisi.
E passiamo al terzo caso, quello di Omar Hazak, poeta al quale è stato impedito di andare a ritirare l’Oxfam Novib/PEN Award per la libertà di espressione. È arrivato all’aeroporto con il biglietto e il visto Schengen ed è stato – per ragioni di sicurezza interna – riaccompagnato a casa sua. Hazak è infatti una persona scomoda al regime che nel 2013, dopo aver criticato il rinvio a giudizio dei responsabili della porte di Khaled Said. Dopo anni di carce, luogo dal quale Omar ci ha fatto ricevere diversi suoi scritti, Omar ha ricevuto il perdono presidenziale lo scorso settembre. Probabilmente però il regime non ritiene opportuno farlo andare in giro per l’Europa a raccontare le sue vicissitudini.
Pensando a tutte questi fatti, che rattristano il cuore di chi affonda le radici del proprio lavoro nei dintorni del Cairo, la serata finisce riprendendo in mano l’intramontabile Le stagioni di Zhat, un libro di Sonallah Ibrahim, poeta che ha pagato con 7 anni di carcere l’esercizio della sua libertà dii espressione e che, nel 2004, ha rifiutato il prestigioso premio dell’Alto Consiglio della Cultura consegnato dal regime di Mubarak. Un uomo che conosceva bene le linee rosse che non si potevano superare per essere pubblicati, ma che sapeva anche come aggirarle. E non tacendo o cucendosi la bocca, ma mettendo tutto nero su bianco. Creando così quel rapporto di fiducia con il lettore sul quale tanto insisteva Montanelli. Un rapporto che non è mai stato rotto.
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